Un cliente si rivolgeva al nostro studio rappresentando di aver firmato, in qualità di promittente venditore, un contratto preliminare di vendita di un immobile.
Successivamente alla firma scopriva che parte di detto immobile, per la precisione il box auto, era abusivo, perché realizzato in assenza di titolo edilizio, motivo per cui si palesava l’impossibilità di procedere alla stipula dell’atto definitivo.
Il promissario acquirente, informato della circostanza, citava comunque in giudizio il promittente venditore al fine di ottenere una sentenza ex art. 2932 c.c. (esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto), chiedendo contestualmente una riduzione del prezzo da corrispondere, pari al costo delle difformità da sanare, ed il risarcimento dei danni. In subordine chiedeva che venisse disposto il trasferimento del solo appartamento, con esclusione del box auto abusivo.
Nella comparsa di costituzione e risposta depositata per conto della assistita, lo Studio chiedeva il rigetto di tutte le domande avanzate dalla controparte, in ragione dell’assenza della dichiarazione di cui all’art. 46 Legge 380/2001 e della impossibilità di fornirla (stante l’esistenza del manufatto abusivo). Si contestava, inoltre, anche la possibilità per l’attore di ottenere una sentenza che obbligasse la vendita del solo appartamento, in quanto con tale pronuncia si sarebbe andati a modificare radicalmente l’originario assetto di interessi definito dalle parti tramite il contratto preliminare.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 17180/2021 del 5 novembre 2021, rigettava le domande del promissario acquirente rilevando che, per decidere la causa, occorreva tenere in considerazione il principio affermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n° 8230 del 22/03/2019 secondo il quale: “La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985, va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
Sulla scorta di questa premessa, il Tribunale accertava che l’appartamento oggetto del preliminare era stato realizzato in forza di regolare licenza edilizia, ma presentava delle parziali difformità per le quali non era stata presentata domanda di condono e riteneva che nel caso di specie difettassero le condizioni dell’azione “poiché la dichiarazione del venditore che dia atto delle difformità della costruzione dal permesso di costruire e non sia integrata dalla indicazione degli estremi della domanda di condono presentata per sanare la difformità non integra il requisito formale di validità del trasferimento richiesto dalla norma”. Per quel che concerne l’autorimessa, invece, accertava che la stessa non era prevista dal progetto, motivo per cui risultava del tutto priva di titolo edilizio e, quindi, incommerciabile, non essendo possibile soddisfare, in relazione ad essa, il requisito di validità richiesto dall’art. 40 comma 2 L. n. 47/1985.