Coltivare piante di cannabis in casa non è sempre reato. Questo il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella recentissima sentenza n. 12348 del 16 aprile 2020.
In particolare, non possono essere punite le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.
La Corte precisa che vi è una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti:
a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo – alle condizioni sopra elencate – nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente;
b) rimane punibile la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita;
c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l’art. 131-bis c.p., e quindi la non punibilità per particolare tenuità del fatto, qualora ne sussistano i presupposti, nonché, il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto.